Storia, segreti e ricetta del ragù napoletano tradizionale

Pomodori, cipolle, vino rosso e carne. Pochi ingredienti semplici, tante ore di cottura lenta e tanto, tanto amore per la cucina. Ecco come si prepara il vero ragù napoletano tradizionale
Il ragù napoletano è un’opera d’arte. E riuscire ad assaggiarlo preparato come vuole la tradizione è praticamente un’impresa quasi impossibile. Il motivo è presto spiegato: alla base del vero ragù napoletano tradizionale ci sono tanta pazienza e amore per la cucina, oltre alla possibilità di dedicare ore e ore della propria giornata ai fornelli. Eh sì, perché se si vuole rispettare la ricetta del ragù napoletano non si buttano gli ingredienti in pentola e poi si va a fare altro in attesa che da solo completi la cottura. Così si prepara il sugo con la carne rossa, ovvero la “carne c’ ‘a pummarola” come diceva Eduardo De Filippo, che ha omaggiato la bontà del ragù scrivendo addirittura una poesia ‘O rrau.
Com’è nato il ragù napoletano tradizionale
La storia del ragù napoletano affonda le sue radici in numerose leggende, ma la parola ‘ragù proviene senza alcun dubbio dal francese Ragoût, termine utilizzato per cucinare uno spezzatino di carne e verdure. Il ragù napoletano deve insomma la sua nascita a influenze francesi (la preparazione di carne spezzettata e verdure) mescolate a influenze americane (senza la scoperta di Cristoforo Colombo la cucina napoletana sarebbe rimasta priva dei versatili pomodori).
Le ricette del ragù napoletano sono tante e variano da un quartiere all’altro e da una famiglia all’altra, perché sono tutte il frutto dell’evoluzione dell’elaborazione del ragù napoletano tradizionale, cioè quello che fece la sua comparsa sulle tavole dei ricchi nella Napoli di metà Ottocento.
Il ragù napoletano nella storia della cucina
Carne, cipolle, vino rosso e pomodori: questi sono gli ingredienti base per realizzare il ragù napoletano tradizionale. C’è poi chi vi aggiunge carote e sedano, ma si dice che sia una contaminazione che avvicina troppo il ragù napoletano alla ricetta del ragù bolognese utilizzato per molte ricette dell’Emilia Romagna, e c’è pure chi farcisce la carne con aromi e frutta secca come accadeva nell’Ottocento.
Va detto infatti che in origine, secondo la vera storia del ragù napoletano, questo piatto doveva essere preparato per offrire il sugo con cui condire ziti o maccheroni e per fornire allo stesso tempo la carne da servire come seconda portata del pranzo della domenica. Tra cipolle che appassivano lentamente e tocchi di carne (mai macinata, ma sempre tagliata in pezzi grossi) potevano trovare quindi posto grandi tagli di carne lardellati o farciti con aromi, spuntature di maiale e anche degli involtini che rosolavano formando una deliziosa crosticina prima di essere innaffiati col vino rosso e poi coperti dal pomodoro dentro il quale dovevano cuocere molto lentamente.
L’evoluzione del ragù napoletano: la ricetta si semplifica
Col tempo la ricetta del ragù napoletano si è snellita, ma lentezza e pazienza rimangono sempre la condizione essenziale per la riuscita di questa salsa strepitosa. Ci vuole cura nel rimestare col cucchiaio di legno la montagna di cipolla tagliata fine, fine, facendo attenzione che il tegame di rame (come richiede il ragù napoletano della tradizione) non si bruci mentre i tocchi di carne si insaporiscono e si colorano di un gustoso e promettente bruno.
Ed ecco la fatidica domanda che si apre a mille e più risposte: il ragù napoletano con quale carne si fa? Sicuramente è importante imparare a riconoscere la carne fresca, in modo da partire da ingredienti di qualità. Quel che è certo è che il manzo non può e non deve mancare, di carne biologica o non. Con il muscolo – mammunciello come lo chiamano a Napoli – si prepara un ragù napoletano dalla ricetta saporita, al quale poi molti abbinano tanti altri tagli di carne rossa, dal maiale al vitello. Certo è che il sugo deve cuocere molto lentamente sobbollendo per ore sul fuoco, come si dice a Napoli: il ragù deve pippuliare o pappoliare. E dopo quattro se non sei ore di cottura fatto riposare un pochino. Perché come vuole la tradizione, ‘o rraù si gusta ‘posato’.